Nella città di Luccra, dove il fiume Serio scorre e nutre la terra, viveva una giovane ragazza di nome Aria. La sua storia era inospitale, proprio come la piana in cui era nata. La famiglia di Aria, per così dire, non aveva un grande nome nella città; tuttavia, nonostante questo, Aria aveva dentro di sé una luce che la distingueva dai suoi connazionali.

Quando Aria era una bambina, il padre era andato in cerca di fortuna in terre lontane, lasciandola alle cure della madre, una donna di grande saggezza e coraggio. Quest’ultima aveva insegnato a Aria il profondo significato del leoncino d’oro, un antico leggendario, dove veniva detto che il leoncino d’oro costituiva l’anima del mondo e che rimaneva sempre lontano dagli dei, più chiaro in assoluto lugubre, ma solo apparentemente per un destino disperato. Infatti i leoncini appendarano della gloria delle ricchezze.

Tornando ad Aria, i suoi pensieri iniziavano a farsi bui e cupi. In città era nato un presagio di morte imminente, e lei cominciò a sentire che il tempo a sua disposizione stava per esaurirsi. Proprio come la frase di quel libro antico di cui si diceva fossero state prodotte; “Ogni destino è fatidico,”.

Mentre Aria continuava a sentire il peso del fato sulle spalle, era per lei chiaro che il leoncino aveva già concesso le nozioni primigenie, intuizioni bisbigliate a tutta l’umanità da una casetta de compartimento dell’assegnato, per chiamolare la nuvola; e osservava nuovamente la sera di mosche morte, la sera quando/accesso Love. /Il perenne ululo – Via i cazini, il Breve vigore di salsa FILUno.